“IL PONTE SULLA DRINA” DI IVO ANDRIC

Scritto nel 1942 in pieno conflitto mondiale, Il ponte sulla Drina è un capolavoro della letteratura serba di Ivo Andrić che, dopo il premio Nobel, è iniziato ad essere tradotto in tutta Europa.

Questo caposaldo della letteratura balcanica si sviluppa su di un arco di storia davvero ampio, dal periodo che va dalla costruzione del ponte, alla fine del ‘500, fino alla Grande Guerra ed è ambientato in Bosnia, da sempre crocevia di molteplici culture e per secoli dominata, insieme alla Serbia, dall’impero ottomano.

La cronaca di Ivo Andrić si apre all’epoca in cui il ponte si delineò per la prima volta nella mente di colui che ne fu successivamente il finanziatore, un bambino serbo di dieci anni che nel 1516 viene strappato via alla famiglia per essere condotto a Istanbul, dove verrà cresciuto e indottrinato come un vero musulmano, ovvero un giannizzero.

Si trattava di una pratica ampiamente usata dai Turchi che periodicamente derubavano la popolazione locale dei figli maschi, dilaniando i cuori delle madri e portando con sé bambini in lacrime che, una volta arrivati nella capitale ottomana, avrebbero col tempo dimenticato le loro origini, percependole solo di tanto in tanto come una sensazione o un sogno.

Ed è proprio ciò che accade a questo bambino, futuro visir Mehmed-pascià, a cui rimane impressa l’imbarcazione che lo traghetterà da una parte all’altra della Drina presso la città di Višegrad e che continuerà ad affiorargli in ricordi indistinti, a cui tenta di dare forma e che, per placare il suo animo, decide di erigere un ponte proprio in quel punto, per unire ciò che nella sua mente è stato strappato da un qualcosa che non riesce a ricordare.

Così inizia la costruzione del ponte, dal sangue del sacrificio del popolo serbo sottomesso all’impero ottomano, intriso di leggende e visto con diffidenza dalla gente, sempre poco incline verso ciò che non conosce e spaventata dalle novità.

RECENSIONE

L’autore sonda l’animo del popolo che ha abitato a Višegrad partendo dalla storia universale, per addentrarsi in quella particolare dei cittadini. È un continuo flusso e riflusso di descrizione e vita quotidiana, di azioni e di riflessioni.

Attraverso il vissuto dei serbi e dei musulmani di questa cittadina bosniaca descrive le tensioni tra le due etnie, la vita silenziosa e sottomessa dei primi durante la dominazione turca, il loro vivere come ombre per evitare ritorsioni. Passa poi per il periodo delle guerre balcaniche in cui la Serbia riesce a liberare la propria nazione e i confini vengono ridisegnati, con le conseguenze che tutto ciò comporta per gli abitanti di quella terra che è un crocevia di culture e dove a pagare sono sempre cittadini innocenti.

Fino ad arrivare poi all’occupazione austriaca di fine ‘800 e il conseguente ribaltamento della situazione nazionale. Ora sono entrambi occupati, sia serbi che turchi, ma i primi possono vivere più alla luce del sole e sperare in un futuro grandioso in cui si sarà liberi anche dall’oppressione austroungarica, mentre i secondi rimpiangono il passato glorioso del loro impero e guardano con diffidenza le orde di eserciti infedeli e invasori. Il tutto fino al primo conflitto mondiale quando, a causa dell’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo, ci saranno forti ripercussioni sulla popolazione serba.

In tutto questo, il ponte è protagonista assoluto, silenzioso spettatore  delle vicende umane, luogo di raccoglimento, di ilarità o di dolore, di libertà o di occupazione, lui resta lì, muto, bello, impassibile e senza tempo.

Ciò che ho adorato di questo romanzo è la scrittura di Ivo Andrić, quel suo stile lento e armonioso che però non annoia mai. Il romanzo è un flusso di descrizioni in cui collega sapientemente tantissime vite. Riesce a raccontare storie differenti senza mai ripetersi o diventare pesante e monotono.

Nonostante sia serbo, riesce ad entrare nello spirito del popolo musulmano, ad indovinarne i pensieri, a delinearne le difficoltà dovute al cambiamento che li ha portati a passare da dominatori a dominati.

Non a caso il personaggio che mi ha fatto più sorridere è stato Ali-Hodža, uomo burbero e brontolone che si è sempre trovato senza volerlo ad essere primo spettatore dei cambiamenti della storia. Dall’arrivo dell’esercito austriaco, alla cui vista della croce sull’armatura è quasi svenuto per lo sdegno, alla liberazione per mano serba, che non ha sortito un effetto poi tanto opposto.

Leggere Ivo Andrić nutre l’anima oltre che fornire un insegnamento su di una storia che difficilmente è conosciuta in questa parte dell’Europa, perché l’autore ha saputo far affiorare sulle pagine lo spirito di un popolo, crogiolo di etnie differenti, che nulla avevano di affine se non la terra in cui erano nati.

Voto: 5/5

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