“LE NOTTI BIANCHE” DI FEDOR DOSTOEVSKIJ – RECENSIONE

Le notti bianche è il primo romanzo in assoluto con cui mi sono approcciata alla lettura del celebre Fedor Dostoevskji, nella bellissima edizione dell’ Universale Economica Feltrinelli. La prima pubblicazione risale al 1848 e prende il nome da quel particolare periodo dell’anno in cui, nella Russia del nord, il sole tramonta dopo le 22.

Le notti bianche si svolge a San Pietroburgo nell’arco di quattro notti e una mattina che porta bruscamente al risveglio il protagonista e, con lui, il lettore. Mai titolo fu più conforme al contenuto. La notte rappresenta il luogo del sogno per eccellenza e la dimensione onirica traspare in ogni singola pagina del romanzo.

Ammetto che, venendo da un libro completamente diverso e approcciandomi per la prima volta allo stile così ricco e accurato dell’autore, all’inizio sono stata presa da un senso di spaesamento che mi ha fatto quasi pensare che non fosse di mio gradimento. Per fortuna però, sono andata avanti e sono riuscita ad apprezzarlo tantissimo.

Che dire degli incontri del protagonista con la giovane diciassettenne Nasten’ka? Ogni sera al solito posto, alla stessa ora. Incontri pieni di speranza ed emozioni forti e genuine. Dialoghi che si susseguono in maniera entusiasta e teatrale, tanto da essermi quasi sentita in platea, ad osservare sognante ogni loro gesto e fremito, ad ardere d’amore con loro, un amore tormentato per entrambi, ma non corrisposto per il nostro povero protagonista. Quando era lì, pronto per essere afferrato, ecco che gli scivola tra le mani e Nasten’ka si sposa con l’uomo che aveva aspettato per un anno intero, causa dei suoi sospiri e tormenti.

Il protagonista, grande sognatore, torna nel suo guscio di fantasie, nel quale si sente più a suo agio, ma siamo certi non smetterà di rimembrare gli attimi in cui è stato accarezzato dalla felicità.

Interessante è inoltre anche la cronaca così precisa degli avvenimenti mondani del 1847. Per un’amante dei romanzi storici come me, il brivido è stato inevitabile: avere una testimonianza così diretta del pensiero di chi in quegli anni ci è vissuto, è una cosa unica. L’ironia attraverso cui l’autore descrive l’approccio del popolo russo alla mondanità europea, oltre che il sempreverde conflitto con la presunta superiorità francese, mi hanno davvero catturata.

Se ne avessi avuto l’occasione, da brava collega sognatrice, avrei trascorso volentieri anche io una di quelle notti bianche con Dostoevskji, seduta su quella panchina vicino al ponte, a discorrere di vita, speranze e sogni, con un uomo così sensibile e colto.

Vi lascio con una frase che, secondo me, tutti dovremmo tenere sempre a mente:

“Vivere significa fare un’opera di se stessi”

Voto 5/5